Fabbrica di mogli, verginità garantita (1990)
Ci sono cose che uno non immagina siano potute succedere. E invece succedevano, qui a Bologna, al Baraccano, dove andiamo a sentire concerti d’estate sperando magari d’innamorarci sotto la luna.
Nel 1746 Isabella Boldoni a innamorarsi fece presto. Uscì dalla “fabbrica delle mogli”, dove era stata reclusa sette anni, e la misero davanti a una porta. Lì dietro c’era l’uomo di cui si sarebbe innamorata. Lo sapeva perchè aveva già firmato il contratto.
La cosa funzionava così. Al Baraccano c’era un Istituto che prendeva bambine povere dalla strada, le ospitava, le nutriva e costruiva loro la dote. Ma la loro solidarietà era particolare. Per prima cosa, non prendevano tutte le bambine. Quelle “deformi, storpiate e gobbe” le lasciavano in strada. Quelle più in salute dovevano passare una visita in cui la madre priora si assicurava che le giovani “non sieno malsane o difettose o mal nette nelle parti coperte del corpo”.
Passato l’ esame, la “fortunata” trascorreva sette anni a lavorare la seta dalle 12 alle 14 ore al giorno. Le condizioni del contratto erano: mangiare poco, retribuzione zero, di uscire non se ne parla. Le ragazze potevano vedere i parenti ma solo quelli stretti, solo in casi eccezionali e comunque, per stare sul sicuro, solo attraverso una grata.
Nel frattempo l’Istituto incassava i soldi creati dal lavoro delle ragazze e, a sua discrezione, ne metteva una quota da parte per far loro la dote.
Passati sette anni, alle ragazze veniva fatta una domanda: vuoi sposarti o diventare suora?
Quelle a cui non veniva la vocazione venivano messe sul mercato come mogli. Manco a dirlo, non avevano diritto di scegliere il promesso sposo, ma su questo c’era parità fra i sessi: nemmeno il marito poteva scegliere perché l’Istituto garantiva che le sue ragazze erano sane di salute ed illibate. E tanto doveva bastare.
Fu così che Isabella Boldoni, giunta a 17 anni, e dopo aver filato alcuni bastimenti di seta, aprì la porta e si trovò davanti Marco Capelli: 22 anni, garzone presso il negozio di pizzi di messer Gioseffo Ferrari.
La storia non dice se i due si piacquero. Ci dice solo che si sposarono, se non altro perché avevano firmato e non potevano fare diversamente.
Ma una informazione supplementare c’è. Il giovane Capelli voleva aprire una merceria per suo conto. Ma quelli dell’Istituto davano la dote solo se il marito era già proprietario di qualcosa, per evitare che arrivassero uomini interessati ai soldi e non alla ragazza.
Così, per tutelare l’interesse di Isabella Bodoni, dopo 7 anni di lavoro gratuito non le diedero neanche la dote.
mi sembra un classico esempio di “pietas” cristiana…….
provate a leggere “mille volte niente” oppure “il suono di mille silenzi” di Emma La Spina… scoprirete questo(mi riferisco al racconto fabbrica di mogli) e molto altro ancora sulla condizione delle fanciulle che trascorrono la propria infanzia negli istituti. storie tremende, realtà insopportabili, tutte banalmente vere!!